IL PRETORE
    Sciogliendo  la riserva di cui al verbale del 17 febbraio 1989 che
 precede;
    Esaminati  gli  atti  della  causa  ed i documenti prodotti; visto
 l'art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87;
                           PREMETTE IN FATTO
    Con  ricorso  del  28  marzo  1984,  depositato  il 30 marzo 1984,
 Genovesi Giuseppe proponeva  opposizione  ai  sensi  della  legge  24
 novembre  1981,  n. 689, avverso l'ordinanza-ingiunzione n. 3554/1983
 del 12 gennaio 1984 (notificata all'interessato il 5 marzo 1984)  con
 la  quale  il  prefetto di Siracusa gli aveva ordinato ed ingiunto il
 pagamento della somma di L. 30.000 in favore del comune di  Noto  per
 avere,  in  violazione dell'art. 115 del codice stradale, lasciato in
 sosta la propria auto Diane 6 SR 189168 all'incrocio  nella  contrada
 Nicastro,  bivio Castellucci, di Noto, cosi' ostruendo l'entrata alla
 strada comunale.
    Sosteneva,   preliminarmente,  l'opponente  che  il  provvedimento
 prefettizio era illegittimo per incompetenza territoriale del  comune
 di  Noto,  atteso  che  la  contrada  nella quale era stata accertata
 l'infrazione non apparteneva  alla  circoscrizione  territoriale  del
 comune  di  Noto,  essendo  stata  trasferita  al comune di Palazzolo
 Acreide con legge regionale 30 marzo  1981,  n.  43,  e,  quindi,  il
 comune  di  Noto non era legittimato a svolgere in quella contrada, a
 mezzo dei propri vigili, accertamenti amministrativi.
    A  sostegno  dell'opposizione  venivano  dedotti  anche  altri due
 motivi che riguardavano il merito.
    All'udienza  di comparizione del 25 maggio 1984, fissata a termini
 dell'art. 23 della  legge  24  novembre  1981,  n.  689,  l'opponente
 insisteva  nella proposta opposizione. Per il prefetto di Siracusa si
 costituiva  il  vice  prefetto  ispettore  aggiunto,  dott.ssa  Maria
 Lanteri,  appositamente  delegato,  chiedendo  in comparsa il rigetto
 dell'opposizione, stante che il comune di Noto  aveva  legittimamente
 esercitato  i poteri amministrativi, non essendo stato ancora emanato
 dal presidente della regione Sicilia il decreto di  sistemazione  dei
 rapporti patrimoniali e finanziari fra i due suddetti comuni.
    Chiedeva altresi' il rigetto degli altri due motivi di opposizione
 per infondatezza degli stessi.
    All'anzidetta  udienza  di  comparizione  si  costituiva pure, per
 intervento volontario, il comune di  Noto,  in  persona  del  sindaco
 pro-tempore  munito  di  regolare  autorizzazione a stare in giudizio
 concessagli dalla giunta municipale con deliberazione 10 aprile 1984,
 n. 390.
    Nella    propria   comparsa,   il   comune   di   Noto   eccepiva,
 preliminarmente, l'illegittimita' costituzionale della legge 30 marzo
 1981,  n. 43, della regione Sicilia nonche' dell'art. 6 dell'o.r.e.l.
 della stessa regione approvato con legge regionale 15 marzo 1963,  n.
 16,  per  contrasto  con  gli  artt.  3  e 133 della Costituzione ed,
 infine, dall'art. 6 dell'o.r.e.l. in riferimento  all'art.  7,  n.  4
 dello  stesso  o.r.e.l.,  sempre  per  violazione degli artt. 3 e 133
 della Costituzione.
    Con  ordinanza  emessa  fuori  udienza  il  31  maggio 1984 questo
 pretore, attese la rilevanza e la non  manifesta  infondatezza  delle
 questioni  sollevate  dal  comune  di  Noto, sospendeva il giudizio e
 rimetteva gli atti alla Corte costituzionale.
    Con  sentenza  9-16  giugno 1988, n. 649 la Corte dichiarava pero'
 inammissibile la questione sollevata, per  omessa  motivazione  sulla
 rilevanza di essa ai fini della decisione della causa di opposizione.
    A  seguito  di  cio' il comune di Noto proponeva il 18 luglio 1988
 istanza di riassunzione e questo  pretore  fissava  con  proprio  con
 proprio  decreto  l'udienza  del 25 novembre 1988 per la prosecuzione
 del giudizio.
    Si   costituivano  a  detta  udienza  l'opponente  Genovesi  e  la
 prefettura,  nonche'  il  comune  di  Noto,   persona   del   sindaco
 pro-tempore,  munito di reitera di autorizzazione a stare in giudizio
 concessagli dalla giunta municipale con atto 19 ottobre 1988, n. 987.
    Nella propria comparsa di costituzione il comune predetto chiedeva
 che questo pretore, alla luce  della  citata  decisione  della  Corte
 costituzionale,   ed   in   accoglimento  di  specifica  istanza  ivi
 riproposta, riconoscesse la rilevanza e la non manifesta infondatezza
 delle questioni di costituzionalita' sollevate, rimettendo nuovamente
 gli atti alla  Corte.  A  corredo  della  richiesta  produceva  altri
 documenti,  assumendo  che  dal loro contesto emergevano con evidenza
 sia la rilevanza che la non manifesta  infondatezza  delle  questioni
 sollevate.
    Il  rappresentante  della prefettura dichiarava di rimettersi alle
 decisioni del pretore.  L'ufficio  si  riservava  di  provvedere  con
 ordinanza  fuori  udienza  sulle richieste delle parti. Nelle more il
 comune di Palazzolo  Acreide,  spiegando  intervento  volontario,  si
 costituiva  ritualmente  in  cancelleria  sostenendo  la  domanda del
 Genovesi. Con ordinanza resa fuori udienza il 26 gennaio 1989  questo
 pretore  rimetteva le parti avanti a se'. Alla prefissata udienza del
 17  febbraio  1989  le  parti   insistevano   sostanzialmente   nelle
 rispettive deduzioni.
    Questo  pretore  si  riservava  ancora una volta di deliberare con
 provvedimento da adottarsi fuori udienza.
                           IN DIRITTO OSSERVA
    Le  questioni  di  illegittimita'  sollevate  dal  comune  di Noto
 debbono essere delibate prima di ogni altra statuizione,  anche  alla
 luce  dei documenti prodotti, potendo esse essere parimenti sollevate
 d'ufficio.
    In  punto  di  rilevanza  va  anzitutto  osservato che l'eccezione
 originariamente sollevata dal rappresentante della prefettura,  circa
 la  persistente  competenza  territoriale  del  comune di Noto in una
 contrada aggregata con legge regionale  30  marzo  1981,  n.  43,  al
 comune di Palazzolo, appare priva di giuridico fondamento.
    E'  infatti indiscutibile che l'art. 1 di detta legge, che dispone
 l'aggregazione al comune di Palazzolo di  parte  del  territorio  del
 comune di Noto, divenne a tutti gli effetti immediatamente operante a
 seguito della pubblicazione nella Gazzetta  Ufficiale  della  regione
 Sicilia,  con  la  conseguenza  che la potesta' amministrativa passo'
 ipso jure dall'uno all'altro comune.
    Per  converso,  assolutamente  ininfluente  e'  la circostanza che
 all'epoca della contestata infrazione stradale non era stato  emanato
 il decreto di sistemazione dei rapporti patrimoniali e finanziari fra
 i due comuni. Tale provvedimento, infatti,  ha  palese  ed  esclusiva
 natura  di  adempimento  tecnico e contabile, sostanziandosi (come e'
 peraltro confermato dalla stessa regionale,  nelle  note  esplicative
 inviate ai due comuni):
       a) nella separazione degli atti catastali da parte dell'ufficio
 tecnico erariale di Siracusa a spese dei due comuni;
       b) nel riparto degli oneri e dei crediti al 30 marzo 1981 sulla
 parte di territorio trasferita (rilevabile dai conti  consuntivi  del
 comune di Noto);
       c)  nell'inventario  dei  beni  patrimoniali del comune di Noto
 ricadenti in detta parte di territorio, con menzione degli  eventuali
 beni  demaniali  gravati da uso civico, sempre alla data del 30 marzo
 1981;
       d)  nella  stima  dei  detti  beni  patrimoniali  (ai  fini del
 riparto) da parte di periti di fiducia nominati dai due comuni.
    Sulla  base  dei  superiori elementi tecnici e contabili si doveva
 elaborare il progetto di sistemazione  dei  rapporti  patrimoniali  e
 finanziari   che   (dopo   l'iter   consueto:  pubblicazione,  pareri
 obbligatori dei consigli comunali, della commissione  provinciale  di
 controllo  e del consiglio di giustizia amministrativa) sarebbe stato
 trasfuso nel decreto del presidente della regione.
    E'  agevole  rilevare  come  la natura giuridica del detto decreto
 fosse esclusivamente quella di atto amministrativo di modifica  degli
 atti catastali e di definizione dei rapporti di dare e di avere fra i
 due  comuni,  e  non  gia'  (come  infondatamente  ha  sostenuto   la
 prefettura),   condizione   indispensabile  per  il  passaggio  della
 potesta'  amministrativa  dall'uno   all'altro   comune.   L'avvenuta
 emanazione o meno del ridetto decreto e' dunque circostanza del tutto
 ininfluente per la decisione dell'opposizione, ed e' proprio da  tale
 ininfluenza che scaturisce la rilevanza delle questioni sollevate dal
 comune di Noto.
    Tali questioni, inoltre, appaiono non manifestamente infondate per
 i seguenti motivi:
      1) la Costituzione della Repubblica prevede all'art. 133 che "La
 regione, sentite le  popolazioni  interessate,  puo'  con  sue  leggi
 istituire  nel  proprio  territorio nuovi comuni e modificare le loro
 circoscrizioni e denominazioni".  Tale  norma,  a  parere  di  questo
 pretore,   enuncia   un   principio   fondamentale   dell'ordinamento
 costituzionale dello Stato,  e,  come  tale,  prevalente  sui  poteri
 legislativi  esclusivi delle regioni a statuto speciale, ivi compresa
 la Sicilia.
    Ne'  puo'  considerarsi derogativo a questo fondamentale principio
 il fatto che la norma non sia stata esplicitamente  riprodotta  negli
 artt.  14  e  15  dello statuto regionale siciliano che attribuiscono
 alla regione poteri esclusivi sulla materia.
    A tale conclusione questo pretore perviene sulla base dei principi
 democratici  che  permeano  la  Carta  costituzionale,  per  cui   le
 iniziative  legislative  in  materia  non  possono  non informarsi al
 criterio di consultazione delle popolazioni interessate alle quali lo
 Stato  di  diritto  deve  riconoscere, sempre e comunque, il rispetto
 degli interessi costituzionalmente protetti.  Lo  statuto  siciliano,
 benche',   come   si   e'   accennato,   non   preveda  l'obbligo  di
 consultazione, non contiene norme incompatibili con  tale  principio,
 al   quale,   quindi,   non   puo'   minimamente   disconoscersi   la
 fondamentalita' dell'ordinamento giuridico, pur nell'ambito di questa
 regione.  E  non e' fuori luogo ricordare che la Corte costituzionale
 ha gia' avuto occasione  di  ribadire  che  la  potesta'  legislativa
 esclusiva  della regione Sicilia trova il suo invalicabile limite nei
 principi e nelle norme della  Costituzione  in  quanto  non  derogati
 dallo  statuto  regionale  (Corte  costituzionale  n.  105/1957): non
 sembra, quindi, possa revocarsi in dubbio che il  silenzio  non  puo'
 essere  apprezzato  come  deroga,  con  la  logica conseguenza che la
 sisposizione  dell'art.  133  della  Costituzione  o  come  principio
 fondamentale    dello   Stato   o,   in   ogni   caso,   come   norma
 integrativo-suppletiva della normativa regionale, trova  applicazione
 anche  nella  regione  Sicilia.  Orbene,  la legge regionale 30 marzo
 1981,  n.  43,  circa  la  quale  e'  stata  sollevata  questione  di
 legittimita'   costituzionale,  non  e'  stata  preceduta  da  alcuna
 consultazione delle popolazioni interessate, cioe' quella del  comune
 di  Noto  (dal  quale  e'  stata  scorporata una consistente fetta di
 territorio, su cui stabilmente risiedeva un non  indifferente  numero
 di cittadini) e quella del comune di Palazzolo Acreide (al quale tale
 porzione di territorio e' stata aggregata  col  conseguente  coattivo
 passaggio  a  quel comune dei cittadini residenti). Risulta, infatti,
 dall'esame degli atti prodotti in copia autentica dal comune di  Noto
 che  l'iniziativa  legislativa  per  la modifica delle circoscrizioni
 territoriali fra i due comuni fu  assunta  dal  comune  di  Palazzolo
 Acreide  il  quale allego' a sostegno della istanza le sottoscrizioni
 di un gruppo di cittadini residenti nelle contrade richieste. Ne'  in
 quella  occasione,  ne'  al successivo iter istruttorio, poi sfociato
 nella presentazione all'assemblea regionale siciliana del disegno  di
 legge  n.  479,  fu  verificata  la  volonta' complessiva di tutte le
 popolazioni  interessate,  o  almeno  l'incidenza  percentuale  delle
 opzioni  sul  totale della popolazione residente, ed in ogni caso, se
 anche tali elementi pregiuridici fossero stati verificati,  essi  non
 avrebbero  potuto  apprezzarsi  come sostitutivi di una consultazione
 popolare, perche' palesemente privi delle  guarentigie  che  ad  ogni
 consultazione  debbono  inerire:  liberta'  e  segretezza, oltre alla
 effettivita' del diritto di voto per tutti gli elettori  interessati.
    Si   aggiunga   poi   che   la   prima   commissione   legislativa
 dell'assemblea regionale siciliana, nella sua  seduta  del  20  marzo
 1980,   preso  atto  delle  successive  sottoscrizioni  di  cittadini
 elettori in favore di Noto, delibero' di  modificare  il  disegno  di
 legge  n.  479, motivando con l'esigenza di "privilegiare la volonta'
 delle popolazioni dimoranti" (avrebbe dovuto  dire  "residenti",  con
 cio'  implicitamente riconoscendo - sia pure in parte - che l'istanza
 avanzata dal comune proponente non  rifletteva  effettive  e  sentite
 esigenze degli elettori interessati;
      2)   l'o.r.e.l.  della  regione  Sicilia,  approvato  con  legge
 regionale 15 marzo 1963, n. 16, stabilisce all'art. 6 il procedimento
 di  modifica  delle  circoscrizioni territoriali che trova esecuzione
 negli artt. 1 e 3 del regolamento approvato  con  d.P.R.  29  ottobre
 1957,  n.  3.  Occorre,  pertanto  accertare  se  tale disciplina sia
 conforme a quanto deciso dalla Corte costituzionale con sua  sentenza
 n. 9/1961, laddove viene precisato che "la regione deve esercitare la
 propria potesta' legislativa  in  materia  di  enti  locali  in  modo
 organico  ed  uniforme,  onde  non puo' discostarsi, in casi singoli,
 dalla disciplina comune dettata in sede di regolamentazione  generale
 della  materia.  Ogni  eventuale  deroga, per un caso singolo, a tale
 disciplina comune, si risolve in illegittimita' costituzionale". Come
 conseguenza  di tale principio e' stato quindi affermato che la Corte
 deve  riscontrare  la  sussistenza  in  concreto   delle   condizioni
 richieste dalle disposizioni generali della materia.
    Ritiene  questo  pretore, alla luce dell'insegnamento della Corte,
 che l'iter seguito dalla  regione  Sicilia  nella  istruttoria  della
 istanza del comune di Palazzolo Acreide (sfociata nella presentazione
 del disegno di legge n. 479), nell'ulteriore istruttoria svolta dalla
 prima   commissione   legislativa   ed   infine   negli   adempimenti
 amministrativi  conseguenti  all'avvenuta  modifica  del  disegno  di
 legge,  sia  stata  difforme  dalla  normativa  generale prevista dal
 citato o.r.e.l. che ne risulta percio piu volte violato.
    Dagli  atti  prodotti  in  copia dal comune di Noto e segnatamente
 dalle deliberazioni adottate dal consiglio provinciale di Siracusa  e
 dal  commissario  ad  acta  inviato  in via sostitutiva dalla regione
 presso quell'ente, si evince: che la provincia, con atto  26  ottobre
 1976,  n.  291, aveva espresso sulla modificazione territoriale fra i
 due comuni parere negativo, anche se per implicito; che l'assessorato
 enti  locali  della  regione, senza alcuna preventiva diffida, invio'
 presso quell'ente un commissario per l'espressione in via sostitutiva
 di  nuovo  parere,  espresso favorevolmente; che la provincia ribadi'
 successivamente in modo inequivocabile il proprio parere negativo. Un
 siffatto  modo  di procedere da parte della regione appare fortemente
 sospetto di illegittimita' perche' costituisce una arbitraria  deroga
 al  delicato e complesso procedimento istruttorio di formazione della
 legge-provvedimento di modifica.
    E', infatti, principio consolidato che il potere sostitutivo e' di
 carattere eccezionale ed il suo uso presuppone l'inerzia  dell'organo
 tenuto a deliberare e la diffida dell'organo tutorio. Nella specie il
 consiglio  provinciale  aveva   deliberato   e   sembra   non   abbia
 successivamente ricevuto alcuna diffida dalla regione.
    Ne'   questo   pretore   ritiene   di  potere  aderire  alla  tesi
 dell'assessorato per gli enti locali della regione (desumibile  dalle
 premesse del disegno di legge n. 479) secondo cui la deliberazione n.
 291 del predetto  consiglio  provinciale  aveva  eluso  l'obbligo  di
 esprimere il parere.
    Prescindendo,  infatti, dal merito del problema, si osserva che il
 consiglio  provinciale,  fosse  pure  in  modo   illegittimo,   aveva
 provveduto  a  deliberare,  per  cui  la  sua  sostituzione  (e senza
 diffida)  con  un  commissario  ad  acta  appare  tale  inficiare  la
 legittimita'  del procedimento (Consiglio di Stato, quinta sezione 23
 aprile 1954, n. 362).
    Ugualmente sospetta di illegittimita' costituzionale appare poi la
 procedura  adottata  dall'assemblea  regionale  siciliana  nella  sua
 seduta  del  20  marzo  1980. In tale sede fu deliberato di apportare
 rilevanti modifiche  al  disegno  di  legge  originario,  a  parziale
 accoglimento  delle  difese  prodotte  dal  comune  di Noto. Il nuovo
 progetto di delimitazione territoriale, redatto ai sensi dell'art. 3,
 primo  comma,  del  d.P.R.  29  ottobre  1957,  n. 3, doveva con ogni
 evidenza essere sottoposto a tutto l'iter previsto dal citato art.  3
 del  regolamento  dell'o.r.e.l. fino all'acquisizione di nuovo parere
 del consiglio di giustizia amministrativa, necessario presupposto  ai
 sensi  dell'art.  2,  ultimo  comma,  del citato regolamento - per la
 trasmissione del disegno di legge  in  commissione  e  poi  in  aula.
 Risulta, invece, che il nuovo progetto, che comporto' la modifica del
 disegno di legge originario, benche' inviato al genio civile  per  il
 visto  (cfr.  allegati  al  testo  ufficiale della legge regionale n.
 43/1981), non fu poi ritrasmesso ai comuni interessati (o  almeno  al
 comune  di  Noto)  ne' alla commissione provinciale di controllo, che
 hanno certificato negativamente tale  circostanza.  Consegue  che  il
 procedimento previsto in via generale dall'o.r.e.l. e dal regolamento
 e' stato in parte violato ed in parte omesso, il che ha provocato una
 ingiustificata  disparita' di trattamento nei confronti del comune di
 Noto e un trasferimento coattivo di cittadini da un comune  all'altro
 senza  garanzie  formali e sostanziali di un corretto procedimento di
 formazione della legge;
      3)   altro   e   non   meno  serio  sospetto  di  illegittimita'
 costituzionale si evince dalla disparita' di trattamento, che  appare
 non  conforme ai criteri di razionalita' riservata dall'o.r.e.l. alle
 due ipotesi sostanzialmente analoghe (tanto da essere tutte  comprese
 nella  previsione  generale  dell'art.  6)  riguardanti l'erezione di
 nuovi  comuni  e   la   modificazione   delle   loro   circoscrizioni
 territoriali.
    La prima ipotesi, disciplinata dall'art. 7, consente l'istituzione
 di un nuovo comune solo in presenza di diverse  condizioni,  fra  cui
 quella (n. 4) che "la maggioranza degli elettori iscritti stabilmente
 nelle   frazioni   o   borgate   interessate   si   sia   pronunciata
 favorevolmente". La seconda ipotesi, disciplinata dal successivo art.
 8, non stabilisce le condizioni per procedere alle  modificazioni  di
 comuni  esistenti ma solo, in negativo, i casi in cui non si fa luogo
 a   tali   modificazioni,   cosicche'    nessuna    guarentigia    di
 autodeterminazione  e' assicurata ne' agli elettori delle porzioni di
 territorio da trasferire da un comune all'altro, ne' viene  accertata
 la   volonta'   del   complesso  della  popolazione  dei  due  comuni
 interessati,  con  particolare  riferimento  a  quello   soccombente,
 legittimato   a   difendere  (salvo  diversa  e  prevalente  volonta'
 popolare) l'integrita' dei propri elementi costitutivi: territorio  e
 popolazione (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 38/1969).
    Una  modificazione  territoriale,  specie se di grosse proporzioni
 (nella fattispecie oltre 10.500  ettari,  superiore  alla  estensione
 dell'intero    comune    beneficiario)    e    riguardante   contrade
 permanentemente abitate, puo' rappresentare un fatto traumatico forse
 piu'  grave  del sorgere di un nuovo comune, subordinato - come si e'
 accennato - a varie condizioni, fra cui la volonta' della maggioranza
 espressa  favorevolmente. La sisparita' di trattamento non risponde a
 criteri di eguaglianza e razionalita', per cui l'art. 6 dell'o.r.e.l.
 appare (in riferimento ai successivi artt. 7, n. 4, e 8) contrastante
 con gli artt. 3 e 133 della Costituzione, coinvolgendo  nel  sospetto
 di incostituzionalita' la legge regionale siciliana 30 marzo 1981, n.
 43 (cfr. Corte costituzionale: sentenze n. 49/1963 e n. 19/1970).